Intervista a Rosario Rito, autore della raccolta poetica “L’isola misteriosa”.

Intervista a Rosario Rito, autore della raccolta poetica “L’isola misteriosa”.

Rosario Rito è nato a Vibo Valentia nel 1958. Inizia a scrivere da giovanissimo; tra i suoi lavori si ricordano: le raccolte di poesie “Fratello” (1981), “Momenti” (1983), “Ciao Amico” (1999) e “Fratello, ti confido i miei momenti” (1999), la commedia teatrale in tre atti “Sete di uguaglianza” (1994) e i saggi “Gesù il Pescatore” (Luigi Pellegrini, 2010), “Labirinti 1. Funzioni e destrezza soggettiva tra scontato e cogito” (Europa Edizioni, 2016) ed “Educarsi alla disabilità” (2021).
 
«Ci presenta la sua nuova raccolta di poesie “L'isola misteriosa”?»
Durante la propria esistenza, ogni persona, prima di essere professore, avvocato, falegname, normodotato, disabile, diversamente o altro è Pensiero, Sensazioni, Emozioni. La sua anima, non è altro che un pozzo senza fondo di Paure, Speranze, Delusioni, Angosce e Tormenti che non sono altro che il frutto del proprio provare e che non sempre trovano soluzioni adeguate o sostegno da chi crede di voler solo il tuo bene. Ogni persona, non è mai ciò che crediamo che sia o come appare ai nostri occhi. Essa è fonte di pensiero confuso col sentimento e angoscia, mescolata con le speranze. È mistero racchiuso in un corpo; un provare, racchiuso in un'anima. Non esiste persona che si possa conoscere tramite il visivo o attraverso una semplice conoscenza. Noi siamo abituati a dare per scontato ciò che vediamo ma mai, ci domandiamo cosa c'è o ci possa essere dietro a quell'immagine, a quel corpo con un'agilità non perfetta o nell'oscurità degli occhi non vedenti. Io credo che non debba presentare alcunché. Ho desiderato solo regalare i miei pensieri a che crede ancora oggi che noi siamo solo degli eterni sofferenti. Cerco, non è facile accettare una propria disabilità, soprattutto nel momento in cui vorresti uscire da solo o non essere indipendente, neanche a dissestarti se non c'è - in quel momento - qualcuno che ti versa l'acqua nel bicchiere. Sì, certo, il disabile a tutto, tranne una vita privata, ma ciò non toglie di avere sentimenti o risentimenti, sia verso se stesso e sia nei confronti della vita stessa. Ho solo messo al bando in miei pensieri, sperando che possano essere di aiuto a chi crede ancore che siamo degli eterni sofferenti. No. Noi siamo persone, con un'anima da sopportare e un intelletto da guidare”.
 
«Vorrebbe spiegarci il significato del titolo della sua opera? Che cos'è davvero quest'isola misteriosa?»
“Non è altro che l'animo umano. Noi, primo di essere corpo, siamo spirito e non mi riferisco allo Spirito Santo. Quello lasciamolo agli addetti ai lavori. Non è sarcasmo. Vi prego! Spirito che perde corpo, non solo dal pensiero, ma dalle sensazioni. L'isola misteriosa è l'anima della persona, è ciò che il corpo nasconde. Anche un cerebroleso ha un'anima. Come, infatti, se non lo gridiamo o lo percuotiamo in modo violento, lui reagisce: piange o getta un urlo. Siamo tutti corpi persi nei propri pensieri o sofferenze senza fissa dimora. Il corpo è solo la scatola che nasconde la nostra vera e autentica identità ciò che io chiamo 'Isola'”. Solo i tuoi pensieri, speranze, desideri. Siamo espressione di paure e tomenti desinati a rimanere tali se non troviamo o abbiamo qualcuno con cui condividerli, sfogarci e aiutarci a trovare la giusta soluzione o almeno, non farci sentire sempre più soli. Siamo tutti mistero, nascosti in un corpo e corpi in cui, a causa di un'immagine, sono destinati a perdersi nell'immesso oceano dell'indifferenza umana. Non parlo per me, ma per tutti quelli che pur avendo un linguaggio perfetto, delle gambe molto agili e una vista perfetta, nessuno, sente, nessuno vede, nessuno ascolta. Siamo tutti emigranti in questo mondo e invece di scoprire l'isola che c'è in noi, ci danno dei clandestini. Clandestini, soprattutto nel momento in cui, invece  di cercare o almeno, tentare di conoscere e comprendere l'altro, ci armiamo di paure e tormenti non sempre giustificabili. L'indifferenza è l'arma migliore per emarginare il cosiddetto 'Diverso' da noi, senza renderci conto che siamo tutti disuguali e non dissimili. Finché non capiremo questo, saremo destinati a rimanere isole perdute nell'oceano dell'indifferenza, anziché divenire fonte d'ascolto di conoscenza e accoglienza. Nessuno conosce ciò che il se stesso prova e l'apparenza nasconde.
 
«Quali sono i messaggi che ha voluto veicolare attraverso le liriche contenute nella sua emozionante raccolta poetica?»
“Veicolare nessuno, anche se i pensieri e turbolenze sono in sé per sé, il motore delle nostre imprese, dei nostri desideri e sogni. Come dicevo prima, noi siamo Anima, Spirito, non disabile, africano, russo, ucraino e via dicendo. Credo che non solo io, ma tutte le persone del mondo desiderano quello di poter essere se stessi e vivere, soprattutto, in pace con se stesse. Cosa questa che non ha nulla a che vedere con gli sbagli verso gli altri, ma con la propria condizione, sia fisica sia etnica. Ciò che voglio dire è che come la mia disabilità, mi pesa nel momento in cui me la fanno pesare gli altri, allo stesso modo una qualsiasi persona, si sente inferiore quando si rende conto o ha la sensazione di non essere accettata o considerata come una qualunque. Io non voglio veicolare nessuno e niente. Desidero solo essere me stesso: potermi esprimere e confrontare il mio pensiero con quello degli altri. Voglio essere responsabile di me stesso e attraverso la scrittura, donare qualche nuova sensazione agli altri. Sì, lo sono. Molte mie poesie o pensieri scritti, mettono angoscia, paura, ma chi è immune dalle sofferenze o attimi di tristezza? Io non voglio essere e tantomeno, apparire, come dicono in molti 'l'eterno sofferente' ma fonte di pensiero e sensazioni come una qualsiasi altra persona. Non ho voluto veicolare alcun messaggio. Ho cercato solo di mettere su carta i miei pensieri e vedere se attraverso le mie parole, qualcuno si riconoscesse. Come dicevo poco fa, siamo tutti disuguali ma non dissimili, soprattutto sotto il punto di vista umano e nel bisogno di comunicabilità con l'altro. Questa è la prova che siamo isole, non l'emarginazione che si vede o che ci è raccontata sui giornali o in TV. Non abbiamo bisogno di sostegni fuorvianti, ma d'ascolto e compartecipazione. Io, non sono niente. Ho solo verso su carta ciò che provo o sento. Non sono un politico”.
 
«Nell'introduzione alla sua opera, Maria Teresa Sirgiovanni afferma di lei: “Del resto, una delle sue massime è sempre stata questa: I muri sono da abbattere e i confini da superare”. Nella sua raccolta di poesie la diversità è sicuramente uno dei temi più frequentati: lei condivide con onestà e lucidità la sua esperienza personale di disabile cercando di far riflettere sul bisogno di accettare la diversità e, soprattutto, di vederla come un'opportunità e non come un limite. Quali sono le sue considerazioni in merito
Ci sono due realtà indiscutibili, riguardo al concetto 'Persona'. La prima sta che siamo nati tutti da un ventre materno e non importa se con attrezzi medici o meno; la seconda sta che come persona si nasce, limiti si possiedono. Il vero problema sta che purtroppo, noi vediamo sono quelli visivi che riguardano il non poter camminare autonomamente, non possedere un linguaggio perfettamente chiaro, essere ciechi e via dicendo. Ci fermiamo, quasi involontariamente o volutamente al visivo, dimenticandoci che, come dicevo prima, tutti siamo limitati, soprattutto sul piano emotivo, sensoriale, morale, io dico sempre che il peggior handicap è quello che non si vede, anche perché, se la disabilità fisica si può educare, l'angoscia, la solitudine, i turbamenti, le paure e molti altri stati d'essere della persona cosiddetta 'Normale', come non si vedono, molto spesso, creano una solitudine peggiore di quella che può essere considerato disabile. Quando io dico che bisogna abbattere i muri, non mi riferisco solo verso di noi, ma nei confronti di tutte le persone. Migranti, marocchini, anziani, donne, bambini. Dovremmo comprendere che, anche se pur vero che siamo nati singolarmente, nessuno, proprio nessuno è sufficiente a se stesso. Tutti siamo dipendiamo dal giudizio dagli altri. L'importante è non cadere nel loro volere. Siamo noi che dobbiamo credere in noi stessi. Lei mi chiede se la diversità è un'opportunità. No. Astutamente no. La diversità del soggetto 'Persona' è originalità. Originalità nel pensare, palare, comunicare, fare, creare e così via. Se noi, associamo tutte queste cose a ogni singola persona, anche a chi per noi è o ci appare disabile, ci accorgeremo che siamo tutti disuguali ma noi dissimili. Siamo tutti disuguali nell'immagine, nel fare per poter raggiungere e cosi via, ma non certamente nel desiderare, soffrire, sperare, n sognare, essere amati. Se non prendiamo consapevolezza che come persona si nasce limiti si possiedono, l'indifferenza verso il nostro prossimo, la farà sempre da padrone.
 
«Ha una poesia preferita all'interno della sua raccolta? Vorrebbe citarla e raccontarci in che momento l'ha composta, e perché è tanto importante per lei
Naturalmente, la prima in assoluto. 'Fratello' che o scritto nel 1976-77. Non ricordo bene, ma nel febbraio di una di questi due anni, venne all'A.I.A.S. di Cosenza, una truppe della RAI di Roma per girare un documentario sulla nostra vita giornaliera. Fui colpito da un labirinto, disegnato con un grosso adesivo color giallo. Quando le luci si spensero e due grossi far, illuminarono il disegno, entrano quattro persone che oltre a indossare una tuta sottomarina, avevano tra le mani, un grande cubo nero con sopra scritto delle parole, come 'Emarginazione', 'Solitudine' e cosi via. Iniziarono a danzare, esclamando: “Via via! La vita è nostra, non per loro! Via, via via. La vita e nostra, non per loro!”. Fu quel maledetto pomeriggio che capii, cosi eravamo e per molti, siamo ancora tutt'oggi e cosi ... Perché mi estranei dal tuo mondo, /forse perché sono uno spastico? /è vero che non riesco a parlar bene/e che non cammino e corro come te,/ma di tutto ciò non è certo colpa mia./Perciò se ti m'incontri, ti prego,/ non evitarmi come se qualcosa di me/ti facesse ribrezzo./ Fratello da te non voglio niente in prestito,/ma solo un po' di quell'affetto/ che tanto mi manca./ Da te una parola mi può bastare, fammi capire che non sono diverso dagli altri,/ che anch'io tengo un posto nel tuo mondo./Lo stesso tuo diritto di vivere la vita.
 
«Dalla sua lirica “Caro foglio”: “Tu per me sei più di un fratello perché tu accetti tutto di me della mia vita, le mie paure e le mie speranze i miei dolori e le mie gioie”. Lei omaggia il foglio bianco, amico più caro, a cui confida ogni suo pensiero. Cosa significa per lei scrivere, e quanto l'ha aiutata nella sua vita?»
Ci sono due realtà indiscutibili, riguardo al concetto 'Persona'. La prima sta che siamo nati tutti da un ventre materno e non importa se con attrezzi medici o meno; la seconda sta che come persona si nasce, limiti si possiedono. Il vero problema sta che purtroppo, noi vediamo sono quelli visivi che riguardano il non poter camminare autonomamente, non possedere un linguaggio perfettamente chiaro, essere ciechi e via dicendo. Ci fermiamo, quasi involontariamente o volutamente al visivo, dimenticandoci che, come dicevo prima, tutti siamo limitati, soprattutto sul piano emotivo, sensoriale, morale, io dico sempre che il peggior handicap è quello che non si vede, anche perché, se la disabilità fisica si può educare, l'angoscia, la solitudine, i turbamenti, le paure e molti altri stati d'essere della persona cosiddetta 'Normale', come non si vedono, molto spesso, creano una solitudine peggiore di quella che può essere considerato disabile. Quando io dico che bisogna abbattere i muri, non mi riferisco solo verso di noi, ma nei confronti di tutte le persone. Migranti, marocchini, anziani, donne, bambini. Dovremmo comprendere che, anche se pur vero che siamo nati singolarmente, nessuno, proprio nessuno è sufficiente a se stesso. Tutti siamo dipendiamo dal giudizio dagli altri. L'importante è non cadere nel loro volere. Siamo noi che dobbiamo credere in noi stessi. Lei mi chiede se la diversità è un'opportunità. No. Astutamente no. La diversità del soggetto 'Persona' è originalità. Originalità nel pensare, palare, comunicare, fare, creare e così via. Se noi, associamo tutte queste cose a ogni singola persona, anche a chi per noi è o ci appare disabile, ci accorgeremo che siamo tutti disuguali ma noi dissimili. Siamo tutti disuguali nell'immagine, nel fare per poter raggiungere e cosi via, ma non certamente nel desiderare, soffrire, sperare, sognare, essere amati. Se non prendiamo consapevolezza che come persona si nasce limiti si possiedono, l'indifferenza verso il nostro prossimo, la farà sempre da padrone.
 
«Lei è un autore molto prolifico; dei suoi numerosi titoli, in particolare mi ha colpito il suo precedente lavoro: il saggio “Educarsi alla disabilità”. Vuole raccontarci di cosa parla? Quali sono i motivi che l'hanno spinta a scriverlo?»
Uno o il peggiore abbaglio che a prima vista può allontanarci dal significato di persona normale, soprattutto sotto l'aspetto sensitivo, non sta unicamente nel confondere l'immaginane dalla sua realtà. Anzi, questo è il danno minore, poiché, anche se l'essere normali, è solo una questione di punti di vista, l'uso delle parole che noi usiamo per identificarla o apostrofarla, non solo feriscono l'animo di chi le sente, ma oltre a dare tutto per scontato, creano solitudine ed emarginazione. Di tutti, i peggiori sono tre: 'Handicappata', 'Disabile' e 'Invalido civile'. Io credo che prima di essere uno o meglio, una di queste figure o immagine, si è persona e cioè, fonte di pensiero e sensazioni. È il pensiero e il proprio modo di aprirsi alla vita, il primo biglietto da visita di una persona, non il suo stato fisico o immobilità delle proprie gambe e altro. Ecco cosa desideravo far comprendere. Bisogna uscire dagli stereotipi, dallo scontato. Siamo tutti soggetti originali e come tali, con le proprie caratteristiche, il proprio modo di pensare, fare e soprattutto d'agire. La disabilità, non è un castigo e ne, soprattutto un progetto di Dio, come sostiene tutt'oggi la Chiesa, e tanto mento, una vergogna per dei genitori, com'era nel passato e in piccola minoranza o particolari circostanze, lo è ancora. È semplicemente uno stato d'essere che trova la sua pacificazione sensoriale, solo nel momento in cui diventa parte attiva e sensitiva nell'eterogeneità del mondo della persona. Scrivere 'Educarsi alla disabilità', è stato, principalmente un confronto che me stesso, più che un messaggio rivolto alla società. Io non sono è tanto mento, ho le basi per educare. Mi sono limitato solo a donare il mio pensiero per avere un confronto con gli altri. Questo è stato il motivo principale che mi ha condotto a scriverlo.
 
 
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